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Hai ragione, ho sbagliato!



-Secondo te come mai hai avuto voglia di scrivergli un messaggio dopo tutto questo tempo?

-Eh, in effetti hai ragione, ho sbagliato!!

-Chi ha parlato di “sbagliare”?


Questo mi succede tutti i giorni: che una richiesta di dare un senso a qualcosa, agli occhi di chi si giudica, sia vissuta come un giudizio.

E questo è un grande lavoro da fare insieme nella stanza della psicoterapia.

Quello di trasformare la nostra immediata e pressante tendenza a ragionare in termini di giusto e di sbagliato, e a massacrarci per questo, in una nuova possibilità: quella di comprendere, esplorare, approfondire.


Che un conto è dirsi “sono stata una stupida a scrivergli di nuovo”, e un altro è capire che cosa è successo: ad esempio che in una situazione di estrema difficoltà ha prevalso il bisogno di tornare alle antiche modalità, di sentirsi rassicurati, e di riprendere contatto con quel qualcuno che ci faceva sentire amati e protetti.


Perché nel primo caso (quando mi giudico senza pietà) rimane solo l’amaro in bocca e il sentirsi sbagliati, mentre il secondo (quando cerco di dare un senso) apre, intanto a uno sguardo più tenero e comprensivo verso noi stessi, e poi a nuove possibilità future per appagare quel bisogno di cui ho finalmente preso atto.


Chiara la differenza? Riuscite ad osservarvi silenziando (almeno ogni tanto) il giudizio?


”Ben oltre le idee di giusto e di sbagliato c’è un campo. Ti aspetterò laggiù.” (Gialal al-Din Rumi)

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