Aiutare è sempre la scelta migliore?
"Io mi sacrifico per voi, e questo è il vostro ringraziamento?" (E. Bennato)
Vi è mai capitato di accorrere in soccorso di qualcuno suscitando in lui rabbia anziché gratitudine?
Vi è mai successo di aiutare una persona cara nell'affannosa ricerca di una soluzione, per sentirsi rispondere con una serie di "ma" e di "però" che sembravano non offrire alcuna via d'uscita, e rimanere con una sensazione di fastidio e impotenza?
Questo perché, secondo l'Analisi Transazionale, certe volte si assume il ruolo di salvatore, ovvero di colui che aiuta le altre persone prima che loro lo chiedano, o nonostante loro non l'abbiano affatto chiesto.
Così facendo, il salvatore, a volte senza rendersene conto, svaluta.
Infatti, se non aspettiamo che l'altro ci domandi aiuto e ci sostituiamo a lui nel risolvere un suo problema, se offriamo soluzioni senza aver ascoltato la domanda, se pretendiamo di apportare dei cambiamenti non richiesti nella vita di un'altra persona, allora svalutiamo le capacità dell'altro, non gli offriamo la possibilità di scegliere, non gli diamo il tempo e il modo di mettere in gioco le sue risorse, inclusa quella di chiederci una mano, eventualmente.
Tutti vorremmo che ci fosse una mano da afferrare quando stiamo per cadere, ma se quella mano ci stringe per tutto il percorso, allora proviamo fastidio, e finiamo per domandarci se saremmo in grado di camminare sulle nostre gambe.
Il ruolo del salvatore, insieme a quello del persecutore e della vittima (secondo la teoria del triangolo drammatico di Karpman) spesso, interagendo tra loro danno origine a una serie di dinamiche psicologiche, tutte diverse ma con una cosa in comune: alla fine ci lasciano con l'amaro in bocca, senza aver ben chiaro il perché.